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Trento, 11 febbraio 2011
PiÙ rispetto per il 150° dell’UnitÀ
Durnwalder dall’Italia ha avuto tanto

di Marco Boato, già Presidente dei Verdi del Trentino e parlamentare per più legislature
da l’Adige di venerdì 11 febbraio 2011

Ha suscitato molto scalpore nei giorni scorsi il «No» di Luis Durnwalder alla partecipazione della Provincia autonoma di Bolzano, l’Alto Adige-Südtirol, alle celebrazioni romane per i 150 anni dell’Unità d’Italia: «Noi ci sentiamo una minoranza austriaca e non siamo stati noi a scegliere di far parte dell’Italia». Sono bastate dunque poche parole per riaccendere un dibattito che si trascina da quasi un secolo (dalla fine della Prima guerra mondiale nel 1918, per l’esattezza) e che ha attraversato tutta la storia repubblicana, dal 1946 in poi. Alexander Langer, il fondatore dei Verdi italiani, era un sudtirolese di madrelingua tedesca, che ha insegnato a tutti di saper superare non solo le barriere linguistiche, ma anche i muri mentali, attraversando le frontiere fisiche e ideologiche e cercando di capire in primo luogo «le ragioni dell’altro».

Proviamo, dunque, in primo luogo a capire «le ragioni di Durnwalder», che non è un pericoloso estremista e nazionalista etnico, ma un leader politico e istituzionale al governo della sua Provincia autonoma da più di due decenni (dalla fine della guerra fredda, nel 1989) e che in questo periodo storico ha fortemente stemperato le contrapposizioni tra i tre principali gruppi linguistici: il gruppo maggioritario tedesco, il gruppo minoritario italiano e la più piccola minoranza ladina (spesso erroneamente assimilata ai «tedeschi», avendo invece una storia millenaria che li precede). Il «vizio d’origine» sta nell’annessione all’Italia - a seguito della prima guerra mondiale e della dissoluzione dell’impero asburgico - non solo del Trentino, ma anche del Sudtirolo (rivendicazione che neppure il «martire» irredentista e socialista Cesare Battisti, impiccato dagli austriaci nel 1916, si era mai sognato di fare, immaginando invece un confine a Salorno, cioè al confine tra l’area linguistica italiana e quella tedesca).

È pienamente comprensibile, pertanto, che - sia pure a quasi un secolo di distanza - i cittadini sudtirolesi di madrelingua tedesca sentano ancora come propria «patria» (Vaterland) l’Austria e rivendichino come propria «Heimat» il Sudtirolo, pur essendo al tempo stesso a pieno titolo cittadini dello Stato italiano e riconoscendosi quindi nella Costituzione repubblicana. Una Costituzione che all’art.6 recita «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche» e che all’art.116 riconosce al Trentino-Alto Adige e ad altre quattro regioni «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale» e che, sempre all’art.116, nel 2001 (su mia proposta) ha inserito nel testo costituzionale anche il nome tedesco «Südtirol» a fianco del nome italiano (ma di origine napoleonica e ripescato durante il fascismo) di Alto Adige.

Oltre a tutto, c’è anche il paradosso che, certo, si festeggiano del tutto legittimamente i 150 anni dell’Unità d’Italia, ma nel 1861 l’attuale Trentino-Alto Adige era ancora parte integrante dell’Impero austro-ungarico, e ciò fino al 1918, cioè oltre mezzo secolo dopo.

Se ancora oggi nella memoria storica e anche familiare dei sudtirolesi di lingua tedesca pesa la forzata «annessione» all’Italia del 1918 e la durissima oppressione del regime fascista (con il sistematico tentativo di cancellazione della loro identità linguistica e socioculturale), è necessario tuttavia ricordare tutte le tappe che hanno segnato la storia di questa terra e della sua particolarissima autonomia nella fase storica post-fascista e repubblicana, dopo la seconda guerra mondiale.
In estrema sintesi: nel 1946 l’Accordo Degasperi-Gruber, il patto che è a fondamento ancora oggi dell’autonomia sudtirolese e del suo «ancoraggio» internazionale (tanto che per due volte, nel 1960 e ’61, la questione sudtirolese fu portata dall’Austria all’Onu, con l’apertura di una vertenza che si concluse definitivamente solo nel 1992, con la concessione della «quietanza liberatoria» da parte dell’Austria -potenza tutrice - all’Italia); nel 1948, varato dall’Assemblea costituente dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana, il primo Statuto speciale di autonomia; nel 1969 il cosiddetto «Pacchetto» di misure a favore dell’Alto Adige, a seguito della vertenza all’Onu e del periodo terroristico; nel 1972 il secondo Statuto speciale di autonomia (con il recepimento di molte misure previste dal «Pacchetto»); nel 1992 la fine della fase di attuazione del secondo Statuto, con la conseguente «quietanza liberatoria» da parte dell’Austria; nel 2001 la terza riforma dello Statuto (riforme riguardanti sempre anche il Trentino); lungo tutti i decenni dal 1972 ad oggi, una serie ininterrotta di «norme di attuazione» (dello Statuto di autonomia) che hanno sempre più rafforzato le competenze legislative e amministrative delle due Province di Trento e Bolzano, che godono di una autonomia istituzionale e finanziaria che non ha pari né in Italia né in Europa (ma anche nel resto del mondo).

Questa rapida rassegna storico istituzionale permette, alla fine, di sollevare comunque qualche interrogativo sulla scelta di Durnwalder, dopo averne riconosciuta la legittimità storica e culturale. Ha scritto mercoledì Paolo Campostrini sul quotidiano Alto Adige: «Ai sudtirolesi non può essere chiesto di amare l’Italia per legge. Ma sono state proprio le leggi di questa Italia che hanno consentito a tre generazioni di altoatesini di amare la terra che li ha accolti e ad altrettante di sudtirolesi di godere di un autogoverno senza pari. Ed è questa l’Italia che ricorda i suoi 150 anni».

Durnwalder risponde: «Nutro il massimo rispetto verso i sentimenti di chi vuole festeggiare, ma nessuno può essere costretto a festeggiare una cosa quando non se la sente». È vero, ma la responsabilità istituzionale è qualcosa che va al di sopra e al di là dei sentimenti (e anche dei risentimenti…): e a Roma (dove tanto spesso dialoga e contratta con i Governi di ogni colore) Durnwalder potrebbe, o avrebbe potuto, rappresentare con dignità e orgoglio una terra che nell’ambito dell’Italia repubblicana e costituzionale, rappresenta un modello esemplare di autogoverno democratico che non ha pari al mondo, neppure al di sopra del confine del Brennero. «Ohne Grenzen - Senza confini» proclamava proprio al Brennero vent’anni fa Alexander Langer. Anche senza confini mentali, da una parte e dall’altra.

Marco Boato
Già Presidente dei Verdi del Trentino e parlamentare per più legislature

 

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